Non subito
In Storie di atletica del XX secolo (Add, 2023, pp. 76-77), Nicola Roggero sfive che alle dieci di mattina del dieci marzo 1953 Stalin non era ancora uscito dalla sua stanza e le guardie erano un po’ preoccupate e quindi, per decidere se entrare oppure no nella stanza, avevano mandato a chiamare il capo delle guardie. Questo perché Stalin, il giorno prima, aveva dato ordine di non disturbarlo per nessun motivo, e le guardie sapevano che non era molto comprensivo nei confronti di chi disobbediva ai suoi ordini. Alla fine si erano decisi a entrare nella stanza alle dieci di sera, dopo dodici ore di attesa, e lo avevano trovato in pigiama, incosciente e paralizzato. Avevano deciso allora di chiamare non un medico ma le più alte cariche del Partito: Georgji Malenkov, Lavrentij Berija e Kikita Kruscev. «Giunti alla dacia da Mosca, però – scrive Roggero –, anche Malenkov, Berija e Kruscev si astengono e preferiscono convocare il ministro della Sanità, Tretjakov: se la veda lui. È ormai la mattina del 2 marzo quando arriva finalmente un medico che conferma la morte di Stalin. Non subito, ma tre giorni dopo». Durante quei tre giorni, i vertici del partito decidono quale sarà il futuro dell’Unione Sovietica, e lo fanno davanti alla salma di Stalin. Perché in certi casi è meglio essere sicuri.